Irene Galfo: “E tu t’accorgi del germoglio?”

Irene Galfo: “E tu t’accorgi del germoglio?”

Irene Galfo, storica della filosofia e scrittrice.

Irene Galfo, storica della filosofia e scrittrice.

Riceviamo e pubblichiamo un articolo della Storica della filosofia e scrittrice Irene Galfo su una conferenza presenziata da Don Juliàn Carròn, svoltasi lunedì 21 dicembre scorso al Teatro ABC di Catania. 

Giorno 21 Dicembre al Teatro ABC di Catania ho assistito all’incontro con Don Carròn, erede di Don Giussani e dunque presidente del movimento Comunione e Liberazione. Ci ha portato “La bellezza disarmata”. In effetti i punti di contatto con la nostra filosofia sono molti; filosofia e teologia, se vogliono, sono sorelle. Mi trovavo lì ed ero circondata da “chicchi di melograno”, davvero numerosi, immersi nel blu profondo e sereno del teatro e subito la linea rossa mi è balzata agli occhi quando, dopo la bella esibizione del coro giovanile, ho sentito Carròn rispondere a delle domande libere di alcuni lettori in questo modo: “Non bisogna mai soccombere alla rassegnazione e all’abitudine per mezzo della bellezza, della curiosità e dello stupore”, ecco l’incontro!

La conferenza che si è svolta il 21 dicembre scorso a Catania.

La conferenza che si è svolta il 21 dicembre scorso a Catania.

– Chi è il filosofo?

– Eros!,

– E com’è Eros?

– “Povero e curioso”, ho spiegato ad una mia piccola allieva. “Povero” perché “manchevole” del sapere e “curioso” perché desideroso di ciò di cui manca.

– E la bellezza perché è disarmata? Perché è un germoglio? (spiega Carròn),

– Ed è poco questo germoglio?

copertina libroSì, per il cuore avvelenato la cui fede s’è offuscata nell’ombra, nelle tenebre e brama battaglie armate di armi reali per conquistare una giustizia che non è mai tale e che non è mai pace. E nemmeno la bellezza è quella bella soltanto dal di fuori, perché dal di fuori essa è un bell’involucro, l’involucro dell’esteta disperato perché non può soffrire dei drammi del mondo e vive in una realtà altra, lontana, vuota. La crisi, lo smarrimento dei valori, il nichilismo, la trascuratezza, la sfida del lavoro, la sfida della disoccupazione, questi drammi toccano tutti, tutti siamo nella stessa barca e “il navigar è dolce”, ci siamo proprio tutti, credenti, miscredenti, cinici, non credenti, agnostici, e non abbiamo formule magiche in tasca, sorry! Le crisi destano domande, ma è soltanto abbattendo le ideologie che si possono capire le ragioni dell’altro.  Con Gesù cadono le divisioni. Il compito del cristiano (spiega Carròn) non è fare una lezione sul compito. Noi che abbiamo incontrato Cristo dobbiamo portarne testimonianza, portare testimonianza della nostra esperienza di vita, della forza, della tenacia. Dobbiamo raccontare la potenza di un germoglio che ha cambiato il mondo e continua a cambiarlo e a rinascere, anche dove non ce l’aspettiamo, anche dove non lo cercheremmo mai e dove siamo sicuri che non ci sia. Tutti quelli che sono stati “afferrati” da Cristo devono raccontare della propria intelligenza moltiplicata, della forza, di come abbiano tenuto duro senza gettare via la spugna, gettare la spugna è semplice, così come è semplice una fede vissuta all’interno di una stanzetta, ma la fede va vissuta con forza nel mondo che la sfida, nella vita reale. Dio avrebbe potuto scegliere chiunque, ma sceglie Abramo, un “poveretto” (dice Carròn), sceglie Gesù, suo figlio, ed è soltanto nel tempo che si sviluppano tutti gli effetti del divino germoglio. Se noi non siamo in grado di testimoniare la grandezza e la potenza del germoglio non c’è possibilità alcuna. La storia è lo spazio privilegiato per questa libertà, ma i progetti hanno un tempo, una misura che non sono dell’uomo. Seguire Gesù per Giussani ( spiega Carron ) è immedesimarsi nell’esperienza altrui. La vita “seguendo” cambia. Dalla sorpresa, dalla novità dell’incontro, pian piano si genera un nuovo io desto nella fede e soltanto un io ridestato nella fede può risvegliarne un altro. Se si lascia entrare Gesù nella vita si rinasce, ma questo incontro deve avvenire liberamente e spontaneamente, senza costrizione alcuna, lasciando, per così dire, un uscio, una fessura, una finestra aperta. Ciò indurrà ad atteggiamenti di disponibilità via via maggiori e a modalità diverse di agire nella realtà, a nuove prospettive. Per ridestare un io ottenebrato è necessario un io desto, “afferrato”, un io che sia capace di testimoniare e di vivere Gesù spontaneamente e che induca l’altro oscurato a pensare:  “E’ questo Gesù? Io non me lo voglio perdere”. Si potrà rinascere essendo vecchi, anche sui rami secchi nascono germogli. Ma tutto questo può compiersi solo nella libertà della storia di ognuno, perché appartiene alla natura umana essere amati e amare liberamente. Se l’amore non è vero, è costretto, noi non lo vogliamo, non lo desideriamo, chi infatti vuole essere amato per forza? Dio era perfettamente consapevole del rischio che correva creando uomini liberi, ma chi costringe all’amore? L’amore non è un tiranno. Se qualcuno ci dice solo per accontentarci “ti voglio bene” noi non lo vogliamo e riconosciamo la verità e la menzogna nelle parole perché leggiamo oltre, leggiamo nell’intenzione e siamo consapevoli che il nemico del bello è l’utile, il conveniente della formula vuota. Il bene non ha alcuna necessità di essere imposto.  Quando l’uomo prova paura e incertezza allora s’impone con la forza debolissima della violenza, uomo umanissimo, troppo umano, fragile e tiranno, ma la vera bellezza è disarmata e disarmante. Il figlio prodigo pensava di vivere in una “casa troppo stretta”, la casa anzi era così stretta da fargli desiderare fuga e sperpero, per cui si chiuse la porta alle spalle, ruppe i legami e si interessò solo dei fatti propri, ma nella consapevolezza della grandezza di ciò che aveva perduto ritornò. Quello del figlio prodigo però è un cammino che ciascuno di noi deve compiere (spiega Carròn). E perché il padre della parabola non costrinse il figlio a restare? Perché il figlio prodigo doveva diventare “consapevole” con autonomia, questa volta conquistata.

Per cui, da questo albero spoglio, i cui rami come braccia stanche assumono la forma di una mano che chiede carità e misericordia, da questa mano si distingue forse un germoglio, tu lo vedi? Tu ti accorgi del germoglio? Mi dici che è poco? Che “la bellezza è un quasi nulla?”, e dimmi, cosa guadagni a dire che non c’è? E se dici che non c’è, sei forse contento? Allora scommettiamo, io ti dico che c’è e in più ti dico che “quel poco” cambierà ogni cosa, persino un cuore che è una pietra si muterà con una goccia d’acqua e tu tornerai bambino, poi di nuovo crescerai, con “spirito duro e cuore tenero” e farai le tue lotte, con le parole.  Insieme poi a tanti altri faremo l’idealismo, quello dei fatti, non quello che si dice e difenderemo noi la bellezza, ciascuno con lo stupore, con la meraviglia, con il desiderio della felicità, della pienezza, coi propri doveri, a proprio modo, con i propri mezzi, con le proprie facoltà, portando un contributo libero nel mondo. Ogni amante vero salverà la bellezza che salverà di nuovo l’uomo e il mondo in un’interazione feconda di bene, conoscenza e amore. Questa è una speranza, sì, ma sai, sono davvero potenti le speranze.

Irene Galfo

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