“Processo al Ponte”, la storia infinita del ponte sullo Stretto di Messina
FOTO IN EVIDENZA: RENDERING DEL PROGETTO DEL PONTE SULLO STRETTO DI MESSINA
Articoli a cura di Ottavio Perricone e Massimo Avveduto
Processo al Ponte di Ottavio Perricone
In America, soprattutto i newyorkesi, lo chiamano affettuosamente The Bridge: è il Ponte di Brooklyn, che dal 1883 collega l’isola di Manhattan alla terraferma. Simboleggia New York e tutti al mondo, almeno una volta, lo hanno visto al cinema come sfondo di una sparatoria tra gangster o di una romantica love-story. Addirittura, dà il nome a una nota marca di “cigomme”.
In Italia, soprattutto i siciliani e i calabresi, lo chiamano semplicemente Il Ponte. È il Ponte sullo Stretto di Messina, che da sempre non collega la Sicilia al Continente. Infatti, non esiste, è un’entità astratta, quasi spirituale. Un mito futuribile che suscita sentimenti contrastanti, di speranza e di riscatto tra i suoi fautori, di timore e scandalo tra i detrattori che lo rappresentano come un fantasma, uno spettro. Un mostro. Né potrebbe essere diversamente, dovendo collegare Scilla e Cariddi.
In assenza di sondaggi recenti, nasometricamente si può dire che gran parte dei siciliani è favorevole, così come lo sono molti calabresi. Sembra contraria, invece, la maggioranza del resto degli italiani, peraltro favorevoli alla TAV Torino-Lione (utilissima), alla Brebemi (meno utile), a tutte le gronde, pedemontane e varianti di valico, sempre propensi a mantenere in vita lo zombi divora-soldi di Alitalia sol perché è la compagnia di bandiera. Ma che, non appena provi a dire la parola fatale, non vai oltre la sillaba iniziale “Po…”. Il fiume più lungo d’Italia, il Po, che se fosse stato largo anche cinque chilometri -lo Stretto di Messina è largo tre chilometri- di ponti tra Torino e Ferrara già ce ne sarebbero almeno dieci. Perché, forse non lo sapete, ma quando nel 2013 fu messa in liquidazione la Società Stretto di Messina S.p.A. i quattro miliardi di Euro del capitale in dotazione furono dirottati per la costruzione della TAV Milano-Genova e della linea n. 4 della Metropolitana di Milano, e i liguri e i lombardi ancora ci ringraziano.
Il mondo è pieno di ponti e tunnel moderni, lunghi e audaci. Sul Mare del Nord c’è il Ponte di Ørensund (anno 2000), tra Copenhagen (Danimarca) e Malmö (Svezia), di m. 19.000: è un susseguirsi di ponti strallati e di tunnel sottomarini e addirittura fu creata un’isola artificiale. Tra la Francia e l’Inghilterra c’è il Tunnel della Manica (1994) di m. 50.450. A Lisbona (Portogallo) ci sono il Ponte Vasco de Gama (1998) di m. 12.245 e il Ponte 25 aprile (1966) di m. 2.227; sul Mar Nero c’è il Ponte di Crimea (2019) di m. 19.000; in Danimarca c’è il Ponte del Great Bealt (1998) di m. 6.790; in Inghilterra c’è il Ponte di Humber (1981) di m. 2.220; non poteva mancare la Cina con il Ponte di Jiangyn (1999) di m. 3.000; in Grecia sul Golfo di Corinto c’è il Ponte Rion Antirion (2004) di m. 2.883 – della serie che in Europa siamo gli ultimi, esclusa la Grecia! Sono appena iniziati i lavori per la costruzione sotto il Mar Baltico del Tunnel del Ferhmarn Belt di m. 18.000 per unire l’isola danese di Lolland con l’isola tedesca di Fehmarn (un collegamento tra due isole!), quest’ultima unita con un ponte alla terraferma tedesca. Tutti, in Europa e nel Mondo, costruiscono ponti imponenti lunghi chilometri, solo in Italia è un avvenimento epocale ricostruire a Genova un ponte, il Morandi, di poche centinaia di metri. In attesa che un giorno inizino i lavori per il Ponte sullo Stretto di Gibilterra di m. 34.000 (non è uno scherzo, c’è già un progetto!), noi in Sicilia e in Italia ci facciamo le peggiori contorsioni mentali (onanismo cerebrale) per non fare il Ponte sullo Stretto di Messina di m. 3.300.
Ma basta avere un po’ di pazienza, i geologi prevedono che tra 200 mila anni Sicilia e Calabria si congiungeranno e allora i nostri posteri inizieranno a discutere per non fare un canale navigabile come a Suez!
Il rischio sismico
Un discorso a parte merita il Ponte sullo Stretto di Akashi (1998), in Giappone, che con i suoi m. 3.911 metri (m. 1991 la campata principale) è attualmente il ponte sospeso più lungo del mondo. Costruito su una faglia sismica attiva più pericolosa di quella di Messina, il 17 gennaio 1995 ha resistito al terremoto di Kobe (6,8 gradi della scala Richter e 6.000 vittime), quando erano state già issate le due torri di m. 300. Non ci furono danni rilevanti alla struttura ancora in costruzione, solo la torre sud si spostò di cm. 120 e i lavori ripresero appena un mese dopo. Il nostro Ponte è stato progettato per resistere a un terremoto più catastrofico di quello di Messina del 1908 (XI grado della scala Mercalli), fino a 7,1 gradi della scala Richter. E poi – non sono né un ingegnere né un architetto, ve lo spiego come l’ho capito io – i ponti sospesi resistono bene ai terremoti perché sono strutture elastiche con periodi di oscillazione lenti che non entrano in risonanza con le scosse sismiche ad alta frequenza, che sono invece disastrose per i ponti corti a struttura rigida.
Il rischio geologico
Le due sponde dello Stretto di Messina, destinate in un lontanissimo futuro a riunirsi, ora si allontanano l’una dall’altra da 4 a 10 millimetri all’anno (cm. 1). Prendendo per buono il valore massimo, sono dieci centimetri in dieci anni e un metro in un secolo, accompagnato da un innalzamento della costa calabrese rispetto a quella siciliana di 1,1 centimetri ogni dieci anni – e quindi di 11 centimetri in un secolo. Sono pochi? Sono tanti? Sono ininfluenti e non rappresentano un problema per gli ingegneri moderni, perché tale distanziamento verrebbe assorbito dalla naturale elasticità dei materiali e dallo slittamento dei giunti di dilatazione, che compensano le normali variazioni termiche o di carico e sono causa del fastidioso “tutun-tutun” che sentiamo quando percorriamo in automobile un viadotto.
Il rischio eolico
Un problema più serio è il vento. È il tallone di Achille dei ponti sospesi e le immagini del crollo del Ponte di Tacoma nel 1940, facilmente reperibili nel web, sono davvero sconvolgenti. Però l’esperienza insegna e nei successivi ottanta anni l’ingegneria dei ponti ha fatto passi da gigante: oggi le strutture sono più robuste e aerodinamiche e i computer consentono calcoli strutturali accuratissimi. Grazie all’uso della galleria del vento il modello in scala del Ponte ha resistito a venti fino a km. 270 all’ora, giammai verificatisi nello Stretto di Messina, dove il 24 novembre 1991 si registrò una velocità massima di km. 128 orari. Peraltro, l’impalcato modulare a profilo alare, specificamente progettato per il Ponte, è un brevetto internazionale di successo (Messina TypeTM) già utilizzato in decine di altri ponti sospesi, compresi i ponti Great Bealt, Humber, Jiangyn e il nuovo Ponte Morandi di Genova. La sagoma a forma di ala d’aeroplano, addirittura, tende a stabilizzare l’impalcato.
Il Ponte è quindi fattibile e, implicitamente, da qualche tempo lo riconoscono anche i suoi avversari che insistono soprattutto sulle problematiche ecologiche, finanziarie, socio-economiche, criminali. Tuttavia, ad essi può essere riconosciuto il merito che, in fin dei conti, il ritardo di venti/trenta anni è servito al miglioramento dei materiali (oggi sono disponibili cavi di sostegno in fibra di carbonio più leggeri e robusti dell’acciaio e cementi più resistenti alla salsedine) e delle tecniche cantieristiche.
L’impatto ambientale e paesaggistico
Il Ponte è green e farà bene all’ambiente perché, dirottando una parte del traffico merci e passeggeri, da e per la Sicilia, dall’aereo e dalla gomma sulle linee ferroviarie veloci e ad alta capacità, e senza navi traghetto, l’emissione di anidride carbonica CO2 si ridurrebbe di più di 140 mila tonnellate all’anno. Per quanto riguarda l’impatto sul paesaggio, occorre intendersi. Non è che i ponti romani sul Tevere sono belli perché costruiti duemila anni fa, il Ponte di Brooklyn è bello perché si trova a New York ma il Ponte sullo Stretto di Messina è per definizione un eco-mostro. Sarebbe anzi, a mio parere, non solo un trionfo della tecnologia ma anche un’opera architettonica di grande bellezza. Nella realtà, molti dei ponti citati, snelli ed eleganti, sono diventati attrazioni turistiche con tanto di visite guidate, posti di ristoro, alberghi e ristoranti, centri commerciali, souvenir, etc.
L’analisi costi-benefici
Ne sono state effettuate quattro o cinque, una perfino dal Comune di Messina, incredibilmente negativa. Nonostante il profluvio di dati statistici, proiezioni di traffico, tabelle e diagrammi, il responso finale -positivo o negativo che fosse- era sempre in linea con i desiderata del committente. Il fatto è che, come un vaso di Pandora all’incontrario, i collegamenti tra popoli e territori liberano energie positive, sviluppano iniziative, innescano un’esplosione di creatività impossibile da calcolare a priori. Possono sembrare alti i costi di costruzione (5-6 miliardi di Euro in sei anni), ma se spalmati su una durata di esercizio di 200-400 anni, essi diventano irrisori; mentre per i costi di manutenzione ordinaria basterà introdurre un modico pedaggio. Per dirla alla Draghi (Mario) porti, aeroporti, autostrade, ferrovie e ponti sono tutti debito buono. Aumenterebbe la competitività dei nostri prodotti agricoli e industriali e l’attrattività turistica della Sicilia, non c’è bisogno di essere economisti, basta solo un po’ di buon senso per capirlo. L’Alta velocità ferroviaria – la TAV – deve finalmente arrivare almeno fino a Palermo e Catania, il Ponte non è che il tassello di tre chilometri del Corridoio europeo Helsinki (Finlandia)-La Valletta (Malta) di cinquemila chilometri, e se si è voluta la TAV Torino-Lione del Corridoio europeo Lisbona-Kiev non si può essere favorevoli all’uno e contrari all’altro. Dei 209 miliardi che l’Unione Europea mette a disposizione dell’Italia con il Next Generation EU, 48 sono destinati alle infrastrutture per la mobilità sostenibile; ci sono anche i prestiti della Banca Europea degli Investimenti e i finanziamenti dei Fondi Strutturali Europei e circa un miliardo si potrebbe recuperare non pagando più le penali richieste dalla società appaltatrice, che si è dichiarata disposta a iniziare subito i lavori del Ponte.
La bufala del benaltrismo
L’avrete sentito anche voi: “C’è ben altro da fare in Sicilia, sistemare strade, autostrade, ferrovie; del ponte non c’è bisogno, caso mai si farà dopo!”. E così non si fa niente, né questo né quello, né prima né poi. Anche se, in verità, qualcosa si è fatto se pensate che trenta anni fa per andare da Rosolini a Catania bisognava attraversare gli abitati di Noto, Avola, Cassibile, Siracusa, la zona industriale di Priolo e ci si impiegavano due ore. Ora in due ore si può arrivare a Messina, dove però per traghettare si perdono sempre almeno un’ora in macchina e due in treno. E gli arancini a bordo non sono più buoni come quelli di una volta, il bar spesso è chiuso e bisogna accontentarsi delle macchinette. Se funzionano. Con il Ponte, capace di sostenere il traffico fino a 6.000 veicoli all’ora e 200 treni al giorno, la Sicilia potrebbe diventare l’hub europeo al centro del Mediterraneo e sono davvero incomprensibili le obiezioni che si fanno alla cristallina evidenza dei sicuri e incommensurabili benefici economici, sociali, turistici, culturali che la Sicilia e cinque milioni di siciliani ricaverebbero da un collegamento stabile con la Calabria, il resto dell’Italia, l’Europa.
La questione criminale
Non è accettabile il discorso delle mafie che si infiltrano, il pericolo di attentati intimidatori, etc.: se ci arrendiamo all’idea che un Governo della Repubblica – oggi quello Draghi – non sia capace di proteggere i cantieri, se necessario dispiegando l’esercito come si è fatto per la TAV in Val di Susa (Piemonte) e se non si riesce a garantire la legalità e la trasparenza di sub-appalti, movimento terra, espropri, allora è meglio non fare niente, né ponti né altro, uscire dall’Unione Europea ed entrare nell’OUA (Organizzazione dell’Unità Africana – senza offesa per gli amici africani).
Brevi note in ordine sparso
Per la costruzione del Ponte si impiegherebbero per 6/7 anni centomila lavoratori e, in seguito e per sempre, altre migliaia per la manutenzione, la vigilanza, etc. Un tunnel sotto il fondo marino -questo sì- sarebbe molto pericoloso in caso di terremoto. La recente proposta di un tunnel sottomarino galleggiante è un azzardo perché senza precedenti, sarebbe un’opera prima. E non dimentichiamo le forti correnti dello stretto che si invertono ogni sei ore. I ponti sospesi, invece, sono molto più affidabili giacché nel Mondo già ne esistono centinaia, forse migliaia.
Il Gattopardo e il Commissario Montalbano
In un ipotetico processo, Tomasi di Lampedusa farebbe dire al Principe di Salina contro il Ponte le seguenti parole: “Il peccato che noi Siciliani non perdoniamo mai è semplicemente quello di ‘fare’. Il sonno è ciò che i Siciliani vogliono, ed essi odieranno sempre chi li vorrà svegliare, sia pure per portar loro i più bei regali. I Siciliani non vorranno mai migliorare per la semplice ragione che credono di essere perfetti. They are coming to teach us good manners but won’t succeed, because we are gods”. (da Il Gattopardo). Il commissario Montalbano direbbe invece a suo favore: “Il ponte sullo Stretto s’ha da fare! Perché sul ponte sono state dette troppe sciocchezze, come se ci volessero condannare all’arretratezza. E questo mi fa incazzare molto. Parliamo di cose serie” (da un’intervista ad Andrea Camilleri).
Cenni storici sul Ponte sullo stretto di Messina di Massimo Avveduto
Dal 250 a.c. al 1860
Narrano gli storici Strabone e Plinio il vecchio che il primo ad avere realizzato un ponte, seppure provvisorio (fatto di botti e barche con sovrastanti tavole ricoperte di terra), per l’attraversamento dello Stretto di Messina fu il console romano Lucio Cecilio Metello nel 250 a.C., al fine di trasferire in Continente oltre 100 elefanti catturati dalle legioni romane al cartaginese Asdrubale nella battaglia di Palermo nel corso della prima guerra punica.
Successivamente, nel corso dei secoli tanti condottieri e governanti si posero il problema di un collegamento tra le due sponde, ma le oggettive difficoltà dovute alle condizioni ambientali dello stretto e le conoscenze tecnologiche del tempo fecero sì che la costruzione di un ponte rimanesse sempre una sfida impossibile.
Anche Ferdinando II di Borbone, Re delle Due Sicilie, nel 1840, in piena rivoluzione industriale, pensò alla realizzazione del ponte, ma dopo averne constatata la fattibilità, preferì rinunciare per l’eccessivo costo dell’opera non ammortizzabile per le casse del Regno.
Dal 1860 al 1969
Con l’Unità d’Italia viene avanzata l’ipotesi di un attraversamento stabile dello Stretto di Messina, aprendo la strada ad un vasto confronto comprendente aspetti tecnici, politici, economici, urbanistici, ambientali e, soprattutto, sociali. Un posto di tutto rilievo ha sicuramente Alfredo Cottrau, costruttore di strade ferrate e di ponti, al quale, nel 1866, l’allora ministro dei Lavori Pubblici, on. Jacini, affidò l’incarico di studiare le possibilità di realizzare un collegamento stabile tra la Sicilia e il Continente.
Si susseguirono parecchi studi di fattibilità con ipotesi avveniristiche per quei tempi, ma tutte andavano ad infrangersi di fronte a tre principali problematiche ovvero: le difficoltà di fondazione, l’estrema altezza della carreggiata e l’enorme spesa. Il terremoto di Messina del 1908 rappresentò un momento di riflessione sull’opportunità di continuare a parlare di ponte sullo stretto.
Si riprende a parlare di ponte nel 1941 con la decisione di studiare la concreta fattibilità di un tunnel sottomarino iniziando da alcuni studi geognostici, ma il sempre maggiore impegno nel conflitto bellico determinò l’interruzione di tali lavori.
È agli inizi degli anni cinquanta che la regione Sicilia si propone come ente promotore di studi di fattibilità per il sospirato ponte. Tale situazione durerà fino alla fine degli anni Sessanta tra svariate ipotesi di ponti sospesi e gallerie sottomarine. Una iniziativa meritevole di menzione in questo periodo è quella dell’ingegnere americano David Steinman che nel 1953 presentò il progetto di massima di un ponte sospeso a tre campate e che con la sua società aveva proposto il finanziamento di quasi l’intera opera.
Dal 1969 ad oggi
È con il bando per un concorso internazionale di idee del 1969 che si concretizza la volontà dello stato italiano per la realizzazione di un collegamento stabile tra la Sicilia e il continente.
Furono presentati 143 progetti dei quali 125 elaborati da gruppi composti da progettisti prevalentemente italiani, 8 progetti americani, 3 inglesi, 3 francesi, 1 tedesco, 1 svedese, 1 argentino e 1 somalo. Tra i concorrenti non mancavano i più qualificati studi e società di progettazione di ponti del mondo.
Dopo quasi due anni di valutazioni furono scelti, tra i 143 partecipanti, sei progetti vincitori ex equo.
Gli anni Settanta furono caratterizzati dalla problematica della scelta delle caratteristiche progettuali per iniziare le operazioni di progettazione definitiva. Nel 1978, in occasione di un convegno patrocinato dall’Accademia Nazionale dei Lincei, il “Gruppo Ponte di Messina SpA” presentò l’ipotesi di un progetto che aveva sintetizzato in uno le proposte dei vincitori del concorso del 1969 e che sarebbe stato quello su cui si sarebbe sviluppata la futura progettazione per arrivare ad appaltare l’opera.
Nel 1981 si costituì la società “Stretto di Messina SpA” (da ora SdM) che avrebbe dovuto seguire tutte le fasi per la realizzazione dell’opera.
Nel 1985 la SdM accolse l’idea del ponte aereo e acquistò il progetto del Gruppo Ponte di Messina che prevedeva un ponte a tre campate con una centrale di 1600 metri
Il 16 giugno 1986,tuttavia, venne presentato dalla SdM un nuovo studio di fattibilità, con i progetti, i costi e l’affidabilità relativi a tre tipologie di soluzioni -in sotterraneo, in mare, in aria-, fra le quali il ponte sospeso venne considerata la soluzione tecnicamente più realizzabile ed economicamente conveniente rispetto ad altre soluzioni.
Nel 1988 la SdM terminò i suoi studi di fattibilità e avanzò la proposta di un ponte sospeso con una sola campata di 3300 metri, ma solo nel 1992 venne presentato il progetto di massima definitivo, con relazioni tecniche, previsioni di spesa, tempi, e Valutazione d’Impatto Ambientale: tale proposta fu il frutto della collaborazione tra esperti nazionali e internazionali.
Tra il luglio del 1994 e l’autunno del 1995 prima le FF. SS. e poi l’ANAS completarono l’esame tecnico del progetto di massima al quale accordarono parere favorevole.
Nell’ottobre 1997 il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, massimo organismo tecnico dello Stato, approvò all’unanimità il Progetto di massima e autorizzò lo studio della progettazione esecutiva. Quindi a quasi trent’anni dal bando per il concorso di idee, il progetto di massima, che corrispondeva al progetto definitivo previsto dalla nuova Legge Quadro sui lavori pubblici, venne ritenuto valido per essere sviluppato in un progetto esecutivo. L’anno seguente la Mitsubishi Heavy Industries LTD, una delle più grandi società costruttrice di ponti di grande luce del mondo, manifestò il proprio interesse a partecipare, sia in qualità di costruttore che di finanziatore, alla realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina.
Nel frattempo in Italia era cambiato il clima politico e soprattutto la sensibilità degli italiani che cominciarono ad avere dubbi sull’utilità della realizzazione di un grandiosa opera come quella del ponte, fatto questo che rallentò il processo di approvazione definitiva.
Nonostante tutte le polemiche, nel corso del 2002 la SdM (sostenuta dalle iniziative legislative del Governo italiano) riprese in mano il progetto di dieci anni prima, lo aggiornò e l’anno dopo il 14 gennaio 2003 il Consiglio di Amministrazione della SdM approvò il progetto preliminare del collegamento viario e ferroviario tra Sicilia e Continente, corredato dallo Studio di Impatto Ambientale e dagli elaborati per la localizzazione urbanistica.
Il 24 aprile del 2003 il Governo colmava un vuoto legislativo varando in via definitiva il decreto legislativo n. 114 che aggiornava la legge n. 1158/71 per la disciplina del collegamento stabile sullo Stretto di Messina identificando l’opera “di preminente interesse nazionale”.
Il 15 aprile del 2004 la SdM e il Governo pubblicavano il bando di gara per la progettazione definitiva ed esecutiva del ponte. Il termine ultimo di presentazione delle domande di partecipazione era stato fissato per il 13 luglio 2004.Il 12 ottobre 2005 l’Associazione Temporanea di Imprese Eurolink S.C.p.A (con capofila “Impregilo”) vinceva la gara e si aggiudicava l’appalto per la realizzazione del ponte, i cui lavori sarebbero dovuti partire nel 2007 per concludersi 70 mesi dopo, nel 2012, con un costo previsto dell’opera intorno ai 3,88 miliardi di euro. Finalmente il 27 marzo 2006 veniva annunciata la firma del contratto tra la SdM e Eurolink S.C.p.A, vincitrice della gara del ponte.
L’euforia per quello che sembrava ormai un punto di non ritorno fu spenta quando il 3 ottobre 2007, il presidente del consiglio Prodi annunciava la chiusura della SdM, destinando i soldi riservati al ponte per le opere ritenute fondamentali nelle due regioni più meridionali e alla fine l’11 ottobre veniva approvata la risoluzione secondo cui il ponte non si sarebbe fatto. Ma non era finita, il governo successivo e per esso il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Altero Matteoli nel maggio del 2008 scriveva al presidente della SdM invitandolo a riaprire le pratiche bloccate dal Governo Prodi.
Infine tra le “vittime” che la grave crisi economica mondiale del 2009 vi fu anche il “ponte”; infatti nel 2012, per i noti problemi di cassa, il governo Monti stanziò 300 milioni per il pagamento delle penali, e quindi la definitiva chiusura del progetto del ponte sullo Stretto di Messina. In conformità alla Legge 221/12, il 1º marzo del 2013 il contratto di appalto è decaduto.
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