Il gran rifiuto di Papa Ratzinger [di Pietro Avveduto]
Nell’Empireo, nel più alto del “ciel ch’è pura luce”, le anime sono in contemplazione mistica della luce emanata da Dio:
“ luce intellettual, piena d’amore;
amor di vero bene, pien di letizia;
letizia che trascende ogni dolzore”.
Le anime sono al cospetto di Dio, non lo possono avvicinare, ma soltanto contemplare.
”Qui vederai l’una e l’altra milizia
di paradiso, e l’una in quelli aspetti
che tu vedrai a l’ultima giustizia”.
Tra le anime e “il Sommo Fattore”, una folta schiera di arcangeli, angeli e cherubini sta a vigilare che non vi sia “invasione di cielo” da parte di anime ultras esagitate. Dall’Empireo le anime possono vagare tra i restanti nove cieli del Paradiso, ma generalmente non abbandonano la loro posizione per non perdere la “priorità acquisita”.
Così, in Paradiso si è stabilita una gerarchia di potere che lo pervade dal primo all’ultimo cielo e per amore dell’ordine e soprattutto della pace Dio lascia fare, avendo piena coscienza della bontà delle intenzioni dei suoi angeli, dal più potente degli arcangeli, al più umile dei cherubini.
Così, quando il suo unico figlio dopo le note traversie terrene, diede il compito al pescatore Simone detto Pietro di buttare le basi della sua Chiesa per divulgare la buona novella, si pensava che il più era fatto e pensando che: “ui vedrai Sicut in caelo et in terra!”, come in cielo così in terra, si cercò di ricreare lo stesso ordine gerarchico che vigeva in Paradiso.
Una persona al di sopra di ogni sospetto, un Papa illuminato dalla bontà divina,
“bontà infinita ha si gran braccia,
che prende ciò che si rivolge a lei”.
Un uomo a capo di tutto e una gerarchia di brave persone a contornarlo per aiutarlo nella gravosa missione.
Almeno così pensava Il Creatore, ma non aveva fatto i conti con gli uomini.
Il tempo passava e gli insegnamenti di Cristo coinvolgevano più persone e quel movimento, il Cristianesimo, andava avanti, e cresceva; i suoi sacerdoti diventavano sempre più influenti e la sua Chiesa eretta a Roma, la città più potente del mondo di allora, sempre più universale.
Fu allora che incominciarono le prime divisioni, chi la voleva cotta e chi la voleva cruda; un Dio non bastava, ce ne vollero tre per soddisfare tutti e mettere a tacere i diversi aspetti della nuova religione; nuova, ma che doveva fare i conti con un vecchio retaggio teologico fatto di versi e versetti da interpretare e reinterpretare a piacimento del lettore e che ha portato alla frammentazione del pensiero originario di Gesù.
Più il tempo passava e più il lusso e il potere divennero parte integrante della Chiesa Romana e la sua Curia, cioè chi nella gerarchia ecclesiastica veniva dopo il Papa, sempre più potente e più intrigante.
Di Papi ce ne sono stati tanti, c’è stato “lo Papa vero” e “l’antipapa”, chi armato di tanto amore e chi armato fino ai denti, chi considerava tutti suoi figli e chi ne aveva di suoi. Ognuno con una caratteristica diversa, ma tutti con un unico intento quello di aumentare il loro potere temporale, cioè estendere i domini del Vaticano su questa terra. Tutto il contrario degli insegnamenti di Cristo che parlava nelle sue parabole del regno di Dio, non su questa terra, ma nel regno dei cieli.
Alcuni Papi hanno cercato di sottrarsi al potere temporale e allo strapotere della Curia romana, sempre più potente e prevaricatrice, buttando la spugna e rifiutando l’incarico a cui erano stati preposti per “volontà divina”.
Come Celestino V, “che fece per viltade il gran rifiuto”. Dante Alighieri nella sua opera magna, la Divina Commedia, lo colloca alle porte dell’inferno tra “l’anime triste di coloro che visser sanza ‘nfamia e sanza lodo”: gli Ignavi ovvero coloro che in vita non operarono né il bene né il male per loro scelta di vigliaccheria.
Dante, di Celestino V°, Papa per sei mesi alla veneranda età di 85 anni, come degli ignavi ha tanta poca considerazione da scrivere:
“Fama di loro il mondo esser non lassa;
misericordia e giustizia li sdegna:
non ragionam di lor, ma guarda e passa”
Dante, coevo di Celestino V°, avrà avuto i suoi buoni motivi per giudicare con questi toni l’operato di quel Papa, ma non accenna a motivare quella scelta e si limita a “ guarda e passa”
Ma, noi oggi non possiamo e non dobbiamo essere così poco indulgenti verso le scelte degli uomini, specialmente su quelle che lacerano l’animo e che non ci possono e non ci devono lasciare indifferenti, specialmente quando a farle sono uomini di grande cultura e grande spessore come Joseph Ratzinger, che col nome di Benedetto XVI ha guidato dal 2005 fino al gran rifiuto la chiesa di Cristo. E a questo proposito non possiamo non considerare le sue ragioni: non possiamo guardare e passare oltre!
l pastore tedesco divenne un tenero barboncino. Sentì più il peso dell’età, non il peso del suo incarico. Ha riportato i Cristiani, dal nono cielo pronti ad invadere l’empireo, sulla terra. Il suo rifiuto ha scosso la coscienza di tutti i seguaci di Cristo, facendoli riflettere sui contenuti della fede e non sulle sue mistificazioni.
A 85 anni l’uomo Ratzinger ha dismesso il bianco abito talare ed è sceso dal trono di Pietro, non per “viltade” ma per consapevolezza, conscio che per assolvere a quella funzione delicata ci vuole vigore fisico e intellettuale. Il vecchio pastore tedesco ha lasciato il posto a un tenero barboncino che non poteva lottare contro i lupi che si nascondevano e si nascondono ancora nella Curia romana, e non potendo portare più la buona novella in giro per il mondo, lasciò il posto a un nuovo Papa. Oggi Joseph Ratzinger ci ha lasciati, ma Francesco non ha mai dimenticato i suoi insegnamenti, ha continuato le battaglie del suo predecessore ascoltandolo come si fa con un fratello più grande facendo sue le motivazioni del gran rifiuto. Joseph merita tutto il nostro rispetto, non è sceso dalla croce e come un semplice monaco ha servito con l’umiltà di sempre e con la preghiera “L’amor che move il sole e l’altre stelle”.
Nella chiesa cattolica molti dissentono sul gran rifiuto di Joseph e certe scelte di Francesco uomini illuminati e guidati da quella ”Provvidenza che governa il mondo”, che ci vuol fare apprezzare la realtà che ci circonda e condurci fuori dal buio della grettezza attraverso un percorso difficile che ci porti a comprendere il gran rifiuto e certe scelte per ritornare a rivedere le cose di questo mondo con la semplicità che li caratterizza.
Quasi a supportare tale tesi ancora una volta, suo malgrado, il sommo poeta ci viene in aiuto quando a chiusura dell’ultimo canto dell’Inferno scrive:
“Lo duca ed io per quel cammino ascoso
intrammo a ritornar nel chiaro mondo
e sanza cura d’aver alcun riposo,
salimmo sù, el primo ed io secondo,
tanto ch’i vidi de le cose belle
che porta ‘l ciel, da un pertugio tondo
E quindi uscimmo a riveder le stelle”.
Pietro Avveduto