Giuseppe Covato, Ncd: “Una scelta per il NO. Non tutti i giovani di Ncd sostengono questa Riforma”
Riceviamo da Giuseppe Covato (Ncd Siracusa) e pubblichiamo in maniera integrale:
“Nella riforma costituzionale Boschi il Parlamento resta ancora a composizione bicamerale: la Camera dei Deputati e il Senato della Repubblica.
Quello che cambia è il c.d. “bicameralismo perfetto” sistema nel quale le due Camere hanno gli stessi identici compiti e le medesime funzioni legislative.
Nel sistema che si intende introdurre la Camera dei Deputati conserverebbe gli stessi parlamentari (630) e l’elettività, e rimarrebbe l’unico ramo del parlamento a votare la fiducia al Governo: “il Governo deve avere la fiducia della Camera dei deputati” recita il primo comma dell’articolo 94 così come riscritto. Cambia invece radicalmente il Senato riducendo drasticamente i suoi membri, che passeranno da 315 a 100, e diventando un organo non elettivo. La Camera dei deputati, dunque, resta l’unico ramo del Parlamento elettivo e la legge c.d. Italicum è già pronta per entrare in vigore. Il Senato sarà costituito da 95 componenti nominati/eletti dalle Regioni e 5 dal Presidente della Repubblica. E’ una precisazione da sottolineare con forza visto che, certa propaganda, ha fatto passare un messaggio non veritiero in merito alla soppressione della c.d. “Camera bassa”.
I senatori quindi non rappresenteranno più la “Nazione” ma saranno rappresentativi delle sole “istituzioni territoriali” dalle quali proveranno, tranne i cinque nominati dal Presidente della Repubblica che non se i capisce bene di chi e di cosa siano rappresentativi.
Nei parlamenti i membri, in genere, rappresentano il “popolo sovrano”. I senatori rappresenterebbero le istituzioni territoriali, ma non è ben chiaro con quale meccanismo. Se fossero dei reali rappresentanti dovrebbero essere nominati dalle giunte regionali e rappresentare gli esecutivi come è nel Bundesrat tedesco . Nella legge Boschi/Renzi invece i senatori vengono “eletti/nominati” dai consigli regionali, con “metodo proporzionale” (come avviene come per il Senado spagnolo in riferimento ai 56 senatori designati dalle Comunidades autónomas). Ragione per cui non rappresenteranno le “istituzioni” bensì le forze politiche presenti nei consigli regionali.
Altra contraddizione è evidenziata dall’articolo 67 che conferma che i parlamentari tutti agiranno “senza vincolo di mandato”. Tuttavia delle due l’una: se rappresentano le istituzioni devono agire con “vincolo di mandato” rispetto all’ente di cui sono rappresentanti; se non le rappresentano è giusto farli agire senza vincolo di mandato. Inoltre rappresenteranno le “istituzioni territoriali” sia “senatori” nominati dalla maggioranza che dall’opposizione, che potranno quindi votare in modo completamente opposto nonostante rappresentino le stesse istituzioni, oppure potranno votare in maniera sinergica in barba alle opzioni politiche di volta in volta scelte. La contraddizione del sistema viene resa ancora più stridente nel momento in cui l’articolo 121 della Costituzione continua a stabilire che i Presidenti della giunta regionale “rappresentano la regione”. I Presidenti rappresentano la Regione ma non in Parlamento, non possono fare sentire la loro voce in Parlamento.
Diverso è per i sindaci che rappresenteranno pare i propri comuni. Non è chiara la ratio della presenza dei sindaci. Se rappresentano i loro comuni si porrebbero quei 22 comuni su circa 8000 in una condizione di privilegio ingiustificato rispetto agli altri, senza che vi sia un motivo logico. Ovvero, volendo farsi carico delle istanze dell’ANCI, saranno impegnati in un’attività di sinergica condivisione e progettazione legislativa. E allora, chi amministrerà i loro comuni per i quali loro sono stati eletti personalmente? Per non pensare agli sciagurati sindaci delle città metropolitane che saranno Senatori, sindaci del comune amministrato e sindaci metropolitani.
I Consigli regionali e le Province autonome di Trento e di Bolzano devono scegliere i loro rappresentati con metodo proporzionale tra i “loro componenti” (quindi consiglieri regionali, molti dei quali ancora direttamente o indirettamente colpiti dalle vicende giudiziarie circa i rimborsi pazzi che hanno colpito trasversalmente tutte, o quasi, le regioni d’Italia) e, nella misura di “uno per ciascuno” tra i sindaci dei loro territori. Nessuna Regione potrà avere un numero di senatori inferiori a due. La composizione del Senato sarà quindi di 22 sindaci e di 73 consiglieri regionali e 5 di nomina presidenziale.
Sulla loro “elezione/nomina” la chiarezza di quella che si vorrebbe far diventare la nuova Carta costituzionale cessa di esistere. Non è chiaro neanche se si tratti di una elezione o una nomina in senso stretto. La proposta di Costituzione riscritta non chiarisce il metodo, ma rimanda al legislatore ordinario, “con legge approvata da entrambe le Camere” le modalità di elezione e di attribuzione dei seggi con la precisazione abbastanza criptica che “i seggi sono attribuiti in ragione dei voti espressi e della composizione di ciascun Consiglio”.
Qui il mistero si infittisce. I seggi saranno attribuiti in ragione dei voti espressi o in ragione della composizione dei gruppi consiliari? Infatti in pressoché tutte le Regioni esiste una legge elettorale maggioritaria, con premio di maggioranza, ragione per cui i seggi non sono la rappresentazione dei voti espressi dai cittadini, ma frutto proprio del premio della legge elettorale.
Gli ex senatori a vita diventano “a tempo determinato”, il loro peso nel Senato riformato numericamente crescerebbe moltissimo (5 su 100 anziché su 315) e potrebbero essere anche l’ago della bilancia: i “nominati tra i nominati”.
Novità sarà anche che il Senato non scadrà, scadranno i mandati dei singoli senatori in quanto la durata del mandato coincide con quella dei loro organi (Regioni o Comuni). Impossibile quindi predeterminare o sapere se la maggioranza del Senato coinciderà con quella della Camera. Potrà verificarsi la presenza di due maggioranze politiche opposte tra di loro, non certo un buon viatico per il funzionamento di un parlamento bicamerale e non certo l’obiettivo sperato dal Governo.
Nel bicameralismo in salsa renziana sarebbe quindi prevista una camera ipertrofica di 630 membri e un senato ridotto a 100 e per di più non elettivo. La riforma è stata poi demagogicamente e populisticamente presentata come utile alla riduzione dei costi della politica. Obiettivo che poteva essere perseguito prevedendo una riduzione proporzionale di camera e senato oppure abolendo il senato e lasciando la Camera con una legge proporzionale, o addirittura senza intraprendere percorsi di revisione costituzionale approvando un dimezzamento delle indennità parlamentari, ipotesi in corso di discussione parlamentare.
Questa Riforma inoltre ha forse un primato che poche altre riforme costituzionali possono vantare, vale a dire ingenerare una indefinibile confusione rispetto la scelte di merito inserite nell’art 70 in ordine alla Funzione legislativa. L’art. 70 del testo della riforma disciplina infatti: leggi bicamerali; leggi approvate dalla sola Camera, con possibile esame del Senato entro dieci giorni; leggi approvate dalla sola Camera, con necessario esame del Senato entro dieci giorni; leggi approvate dalla sola Camera, con necessario esame del Senato entro quindici giorni. Un ingarbugliato sistema che va allacciato all’art 117 rispetto alla disciplina sulle competenza Sato – Regione che potrebbe verosimilmente far aumentare i ricorsi in Corte di Cassazione per conflitto d’attribuzione interorganici ex art. 134 della Costituzione. Se la Riforma dovesse passare l’Italia rimarrebbe una repubblica parlamentare, ma il complessivo equilibrio verrà inevitabilmente spostato a favore del Governo. Complice, in primo luogo, la legge elettorale: L’Italicum fa vincere un solo partito che diventa maggioritario alla Camera pur essendo minoritario nei voti effettivamente ottenuti. Nella legge elettorale si obbligano i partiti a indicare il “capo della forza politica” che diventa, in caso di vittoria, necessariamente “il capo del Governo” . Inoltre il parlamento avrà un potere limitato nella modifica
del testo di legge presentato dal Governo e la Costituzione riscritta obbliga la stessa Camera a modificare il proprio regolamento per stabilire le modalità e i “limiti” del procedimento anche con riferimento all’omogeneità del disegno di legge”. Anche i poteri del Senato di intervenire risultano limitati. In altre parole il Parlamento avrà un potere limitato proprio sulla ragione stessa della sua esistenza: il potere legislativo.
Queste sono alcune delle motivazioni squisitamente costituzionali che stanno alla base della mia decisione di votare NO al referendum costituzionale del 4 dicembre. A queste se ne aggiungono altre che riguardano la sfera politica e che vanno dalle ingiustificate scelte di questo Governo passando per le scelte di merito e sostanziali di un Decreto Legge ricco di troppi retroscena e precostituiti giochi di Palazzo.”
Giuseppe Covato
Ncd Siracusa