Cure palliative: cosa sono e come attivarle, intervista al medico Roberto Agricola

Cure palliative: cosa sono e come attivarle, intervista al medico Roberto Agricola

Cosa sono le Cure Palliative? Perché sempre più spesso se ne sente parlare? Che ruolo hanno nel fine vita e come sono cambiate nel tempo? È un tema che si conosce ancora poco, spesso in maniera superficiale e pregiudizievole. È ancora complicato parlarne per via dell’atteggiamento di scetticismo su come si siano evolute la medicina e la società rispetto ai concetti di vita, morte e malattia che aprono un mondo, invece di alzare un muro, dopo la più tragica frase dei medici: “Non c’è nulla da fare”.

Il medico palliativista Roberto Agricola


Affrontiamo il tema con il dottore Roberto Agricola, medico palliativista originario di Pachino e Direttore SAMOT Ragusa Onlus che ha dedicato la sua carriera alle cure palliative. Con lui partiremo dalle basi e torneremo sull’argomento, data la sua complessità, affrontandone specifici aspetti. Intanto, di Cure Palliative ne avete mai sentito parlare? Conosciamole meglio.


Che cosa sono le Cure Palliative?

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha formulato una prima definizione di Cure Palliative nel 1990: “Le Cure Palliative sono l’assistenza globale, attiva, di quei pazienti la cui malattia non risponda ai trattamenti curativi. È fondamentale affrontare e controllare il dolore, gli altri sintomi e le problematiche psicologiche, sociali e spirituali. L’obiettivo delle Cure Palliative è il raggiungimento della migliore qualità di vita per i Pazienti e per le loro famiglie”. Il primo elemento che emerge da questa definizione, è che le Cure Palliative sono definite una “cura attiva” e non un approccio passivo, una sorta di ripiego di fronte all’inguaribilità della malattia; palliazione non è quindi sinonimo di inutilità, di non efficacia. Nel 2002 sempre l’OMS, ha aggiornato la definizione di Cure Palliative, definendole “…un approccio che migliora la qualità della vita dei malati e delle famiglie che si confrontano con i problemi associati a malattie inguaribili, attraverso la prevenzione e il sollievo dalla sofferenza per mezzo dell’identificazione precoce, dell’approfondita valutazione e del trattamento del dolore e di altri problemi fisici, psicosociali e spirituali”.
Nella definizione del ’90 si faceva riferimento ad un preciso stadio della malattia, quello della non responsività ai trattamenti curativi e ad una precisa patologia, quella oncologica. Nella nuova definizione il campo di applicazione si estende a tutte le “malattie inguaribili”. Non più solo cancro ma tutte le patologie croniche e degenerative che provocano sofferenza.

Perché oggi è ancora così complicato parlarne?

Nell’immaginario collettivo le Cure Palliative sono legate all’immediata prossimità della morte. Soffermiamoci per un attimo su quelli che sono i paradigmi, o forse meglio dire i totem, costantemente presenti nella pubblicità, nei programmi TV, sulle riviste, nei manifesti pubblicitari. Tutto rappresenta una perdurante giovinezza, un perdurante benessere, una perdurante spensieratezza. Tutto deve essere posseduto in una rappresentazione della vita completamente falsata e deresponsabilizzata. La medicina purtroppo non è immune da tutto questo e ha finito per adattarsi, cercando di rispondere ad una richiesta di improbabile immortalità, smettendo di contemplare (e fare contemplare) la morte come insitamente legata alla vita, e per quanto rimandabile anche ineluttabile. Quindi: parlare di Cure Palliative obbliga tutti a soffermarci su temi scomodi che non fanno audience; malattia, solitudine, paura, rabbia, morte.

Un paziente che accetta le Cure Palliative, a cosa deve prepararsi? Quali terapie, ad esempio? Quali scenari?

Chi viene inserito in un programma di assistenza di Cure Palliative Domiciliari, ha già iniziato un percorso di consapevolezza della malattia, che verrà poi approfondito, parlando anche di prognosi. Viene chiarito che l’obiettivo della “cura” non è la malattia, che comunque rimane di pertinenza dello specialista, bensì i sintomi da questa causati. Oltre all’attenzione alla persona. Quindi non la malattia per sè stessa, non la cura per sé stessa e ad ogni costo, ma la persona. Medico, Infermiere, Psicologo, Assistente Sociale, Fisioterapista, Operatore Socio Sanitario: tutti i coinvolti nell’assistenza se ne prendono cura. È anche un percorso di consapevolezza sui propri diritti, così da potere operare delle scelte durante un tempo che diviene prezioso e colmo di tante cose. I farmaci oppioidi, antidolorifici utilissimi (antidolorifici, non sedativi) che hanno sempre caratterizzato questa assistenza, sono in realtà utilizzati solo se ritenuti necessari, ed accupano una piccola parte di questa ampia stanza immaginaria.

“Chi necessita di cure Palliative e decide di non avvalersene,

o viene indotto a rinunciarne,

è come se si privasse (o venisse privato)

degli antibiotici per curare un’infezione”.

Quali sono i motivi che dovrebbero spingere un malato a sceglierle, se sa che la fine è comunque segnata?

Chi fa Cure Palliative, porta a termine assistenze di pazienti che nel tempo vengono poi definiti “indimenticabili”. Anch’io ne ho messe da parte un po’. Ma i miei primi “indimenticabili” risalgono a quando non ero ancora medico; in due fasi differenti, i papà di due miei cari amici si ammalarono, furono curati (siamo fra la fine degli anni ’70 e la metà degli ’80), furono poi dimessi e rimandati a casa dicendo alle famiglie il classico “non c’è nulla da fare”. Il resto è stata sofferenza e solitudine. In quel periodo non esistevano ancora le Cure Palliative, (e anche le chemioterapie erano molto primitive) non vi erano competenze mediche specifiche, non c’erano antidolorifici da fare se non la morfina, o soluzioni galeniche da bere che solamene pochissimi farmacisti riuscivano a preparare. Sul Delirium, e sul Distress di fine vita poi, per ammetterne l’esistenza dovranno passare 35 anni, quindi venivano somministrate compresse di Roipnol fino alla fine. Ecco, oggi è diverso. La farmacologia applicata alla terapia del dolore, ha sintetizzato molecole che hanno radicalmente cambiato la qualità dei pazienti; Delirium e Distress sono condizioni studiate ed approfondite, permettendone così il precoce riconoscimento e l’adeguato trattamento, anche e soprattutto attraverso il lavoro dello psicologo. Chi necessita di Cure Palliative e decide di non avvalersene, o viene indotto a rinunciarne, è come se si privasse o venisse privato degli antibiotici per curare un’infezione. Ed è per questo che oramai le Cure Palliative sono state inserite fra i LEA, i Livelli Essenziali di Assistenza e spettano quindi di diritto, laddove indicate.

Che ruolo gioca la famiglia del paziente sia in fase di scelta che durante il percorso?

Quello della famiglia è un ruolo importante. Serve un care-giver che al domicilio si prenda cura del paziente, si preoccupa di somministrargli le medicine, si occupa di chiedere aiuto quando necessario. Un’assistenza domiciliare, per quanto efficiente, non potrà essere erogata se sul posto manca la persona con cui interfacciarsi. I cambiamenti cui la società civile è soggetta necessariamente si riflettono anche sul suo nucleo primordiale: la famiglia. Sempre meno sono le famiglie che si fanno carico delle esigenze assistenziali di loro componenti; e la malattia, specie quella lunga, alcune volte è causa di conflitto o contribuisce ad acuire quelli già latenti.
Vi sono famiglie composte solamente da marito e moglie, molto spesso anziani, con i figli lontani per lavoro, o all’estero, o senza alcuna rete parentale che possa sostenerli.
Per questi, la richiesta di Cure Palliative Domiciliari è anche una richiesta di aiuto. Ma siamo consapevoli che senza care-giver, senza una persona di riferimento, diviene tutto più difficile. Specie nelle battute finali.

Quali sono i riferimenti territoriali per l’accesso alle cure palliative tra le province di Siracusa e Ragusa? A chi rivolgersi?

Il meccanismo di accesso alle Cure Palliative Domiciliari è similare in tutte le 9 ASP della Sicilia. È il Medico di Medicina Generale che, su sua valutazione, o su indicazione di reparto ospedaliero o struttura che dimette, o anche su sollecito della famiglia, invia la richiesta di attivazione dell’assistenza corredata da esami clinici e strumentali recenti, attinenti alla malattia, al PUA del distretto Sanitario (Rosolini fa capo a Pachino). Questa, si interfaccia con la UOS di Cure Palliative che è allocata a Siracusa, la quale valuta la congruità della domanda attraverso intervista telefonica. Se ritenuta “idonea” la condizione per cui si richiede l’attivazione delle Cure Palliative, viene redatto un Piano di assistenza Individuale dove sono segnalate le figure coinvolte nell’assistenza, che viene mandato all’Ente scelto dalla famiglia (o dal paziente). Nel mio caso SAMOT Ragusa ONLUS, di cui ne sono il Direttore. Non sempre questo percorso risulta agevole, anche perché chi è deputato a governare il sistema (ASP) non sempre è sensibile alle richieste e ai bisogni dell’utenza.

Che rapporto c’è tra fede e Cure Palliative? La fede, che nel fine vita si traduce nella speranza, può influenzare la scelta delle cure palliative?

Il morire sicuramente induce a considerazioni sul senso della vita, su sé stessi, sulle cose importanti ma essere credente o, al contrario, non esserlo non influisce sulla scelta delle Cure Palliative. Per alcune culture hanno il senso dell’invadenza in un tempo che non appartiene più a sé stessi. È questione di approccio: il rifiuto di ogni aiuto perché così è scritto; l’utilizzo del dolore quale mezzo di espiazione; o l’assoluta indifferenza verso il proprio morire; l’interrogare sul senso di un aiuto (le Cure Palliative) che comunque non aiutano a non morire. Sono temi che ne aprono altri più difficili, come la Sedazione Palliativa, atto medico volto a controllare un sintomo refrattario che causa una sofferenza oltre modo insopportabile, e ritenuto etico anche dalla Chiesa, o il Suicido Medicalmente Assistito che grazie alla sentenza 242/2019 della Corte costituzionale, è possibile richiedere.

Enrica Odierna
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