Come conoscersi (sè e l’altro)?
Il diverso ci fa paura, ci lascia sbigottiti, ci fa innervosire, ci insospettisce, ci infastidisce, si fa fatica ad accettare.
Cos’è il diverso? L’aggettivo divèrso deriva dal latino divĕrsus, participio passivo di divertĕre «deviare», ovvero si definisce diverso tutto ciò che devia da qualcosa. Ma da cosa? Dal modo di osservare la realtà! E’ diverso chi affronta le questioni in un altro modo rispetto al nostro, chi la pensa in un altro modo rispetto al nostro, chi ha abitudini altre rispetto le nostre.
Per esemplificare, nello specifico, può essere definito diverso il vicino di casa che ascolta la musica a tutto volume, la famiglia che mangia cous cous speziati, il conoscente che mangia solo frutti della terra, il signore che dorme in strada o in stazione, il bambino che ti chiede soldi all’uscita del supermercato, chi vive al nord e mangia alle 18, chi corre per andare a lavoro, chi preferisce stare a casa, chi vive al sud e pranza per 2 o più ore, chi vive in periferia, chi passa ore e ore in palestra, chi non sa cosa sia la palestra, chi ama viaggiare, chi non è mai uscito dal proprio paese, chi rischia la morte pur di scappare, chi si copre il capo, chi usa le extescion, chi si reca in chiesa, chi si reca in moschea, chi non crede.
Come mai tutto quello che è diverso dal nostro modo di osservare la realtà ci impaurisce, ci infastidisce, si cerca di evitare?
Il processo di acquisizione di nuove conoscenze e, quindi, di altri saperi rispetto a quelli che abbiamo già richiede energie cognitive. Ne richiede molte, in quanto dobbiamo metterci lì a farci un pò di domande: “come mai?”, “cosa me ne faccio di quello che conoscevo prima?”, “chi sono?”, “chi siamo?”, “qual è il suo obiettivo?” ecc..
Se non si mettono in campo energie cognitive, se non ci si impegna possiamo sapere che esiste l’altro, il “diverso” appunto, ma non lo conosciamo. E ciò che non conosciamo genera paura, evitamento. Come quando si guarda un thriller o un horror, la maggior parte delle volte sappiamo che esiste l’assassino, anticipiamo che potrà essere nei paraggi ma non conosciamo il suo obiettivo e/o il suo piano d’azione e ciò crea paura, timore che da un momento all’altro possa succedere qualcosa (a volte, anche a noi che siamo al di là dello schermo).
Inoltre, la psicologia sociale e cognitiva ci dice che, se si spendono poche energie, si ragiona attraverso euristiche di pensiero, ovvero strategie cognitive, scorciatoie di pensiero che permettono più rapidamente alle persone di elaborare giudizi sociali, ricavare inferenze dal contesto, attribuire significati alle situazioni. Queste scorciatoie di pensiero consentono di accorciare i tempi durante la presa di decisioni ma portano spesso a conclusioni e valutazioni errate. Ci si basa, molte volte, su stereotipi per giungere a conclusioni e valutazioni. Il “diverso” stereotipato non ha altra possibilità che rimanere diverso. Così gli anziani rimarranno unicamente “coloro che hanno bisogno di cure”, i giovani “gli scapestrati che non vogliono fare niente”, gli italiani “i cafoni che non rispettano la fila”, i meridionali “gli sfaticati”, i settentrionali “quelli più avanti”, gli immigrati “ i delinquenti”, ecc… Questa unica modalità di descrivere l’altro, certamente porta con sé il fastidio, il sospetto, la non accettazione.
Concludendo, il processo di conoscenza dell’altro e di ciò che ci sta intorno è un processo di cambiamento di noi stessi, del nostro modo di osservare la realtà. Si scoprono nuove angolature della realtà, nuove sfumature, nuovi modi di gestire le criticità. Si costruiscono nuovi modi di poter essere se stessi. Come ogni cambiamento, spaventa e richiede impegno. Ciò che si genera è che il “diverso” non è più diverso, diventa conosciuto, fa parte della nostra realtà e del modo di osservarla. La paura, il fastidio si trasforma in curiosità e in occasione per conoscersi, ovvero conoscere gli altri e se stessi, e costruire insieme nuovi cammini, nuove realtà.
Dott.ssa Rosita Solarino, Psicologa e Mediatrice
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