“Aprite il cimitero”, il grido di dolore della mamma di Cristian Minardo

“Aprite il cimitero”, il grido di dolore della mamma di Cristian Minardo

Pregevolissimi Tutti, provata da un inenarrabile dolore Voglio offrire a Voi, uomini di governo, queste mie riflessioni che probabilmente non porteranno a nulla di concreto ma, forse, saranno utili ad illuminarVi nelle Vostre difficili scelte”.  È l’incipit di una lettera scritta dalla signora Patrizia, mamma del giovane Cristian Minardo, destinata al Presidente della Regione, Nello Musumeci, al Prefetto di Siracusa, al Vescovo Staglianò e al Commissario Giovanni Cocco. Cristian perse la vita in un tragico incidente del 19 gennaio 2019, assieme alla sua fidanzatina Aurora e alla zia di lei. Una tragedia che sconvolse una città. La mamma di Cristian oggi, per la prima volta, si esprime pubblicamente e lo fa per una ragione che è per lei, e per tante mamme, “ossigeno, che le consente di sopravvivere”.

Ogni mattina – scrive la signora Patrizia- di buon ora, oramai da oltre 26 mesi, varco la soglia di “Porta San Giuseppe” del cimitero di Rosolini per recarmi da Cristian, mi siedo lì accanto a lui e parliamo. Come tutti coloro che si trovano nella mia stessa condizione ho bisogno di quell’ossigeno che mi consente di sopravvivere; abbiamo necessità di consolare e nutrire il nostro cuore stando accanto, nel più brutale dei modi che l’avverso destino ha voluto, ai nostri cari”.

Di seguito la lettera integrale: 

“Sono Patrizia, mamma di due amorevoli figli, Cristian e Fabio, cresciuti con sacrificio e dedizione totale da parte mia e di Alessandro, mio marito. Giovanissimi ci siamo ritrovati ad essere genitori, il mestiere più bello ma altrettanto più difficile che esista, ed abbiamo accolto questo immenso dono con grande responsabilità, una dote preziosa ricevuta dalle nostre umili famiglie. Ci siamo edificati come famiglia alternando, come tante altre, momenti di felicità a momenti di sconforto senza però abbatterci ma, al contrario, fortificandoci ancor di più. I sacrifici di ciascuno sono sempre stati sacrifici di tutti, così come le gioie di ognuno sono la felicità dell’intera famiglia.
Parlo al presente, e vorrei continuare così nel prosieguo di questo mio sfogo, ma da due anni e tre mesi a questa parte il mio presente non è più presente ed il mio vivere non è più vivere.
Tutto si è fermato a quel maledetto giorno in cui, svegliata di soprassalto, piombavo nella disperazione totale, nello strazio più atroce per una mamma che non può più stringere a sé suo figlio, ne accarezzarne il suo sguardo, ne sentirne la voce che per ogni mamma è vita. Da quel 19 gennaio 2019, da quando Cristian, assieme ad altre due anime innocenti, è stato trucidato tra le fredde lamiere della sua macchina, è iniziata la mia condanna a vivere, il fine pena mai.

La giustizia terrena ha sentenziato che Cristian nulla poteva per evitare quella tragedia costatagli la vita – e con la sua quella della fidanzatina e della zia – e come mamma che ha educato i propri figli al rispetto della vita, prima di quella altrui e poi della propria, non avevo alcun dubbio.
Non c’è cura, ne terapia, ne tempo, che può lenire o alleviare questa inesorabile tortura della mente e del corpo, che ti soffoca e ti opprime nella più crudele e disumana sofferenza che una mamma possa provare.
In questi giorni sento spesso parlare di resilienza ed anche S.E. Mons. Staglianò, alle esequie di Cristian, e delle altre due innocenti vittime della medesima tragedia, ci supplicava di sperimentarla per non lasciarci morire dentro, ma no, la resilienza dinanzi a tale dramma non è dell’uomo o almeno non lo è per me.
Ogni mattina di buon ora, oramai da oltre 26 mesi, varco la soglia di “Porta San Giuseppe” del cimitero di Rosolini per recarmi da Cristian, mi siedo lì accanto a lui, parliamo, ogni giorno discorsi diversi, quasi mai gli stessi argomenti, come quei grandi progetti che non sono mai fermi in punto ma progrediscono sempre. Come me tante altre mamme lacerate dallo stesso dolore, e non solo mamme biologiche ma anche “mamme di cuore”, figli, fratelli, li riconosco subito perché come me portano il peso di una croce molto più pesante di noi stesse. In quegli istanti trascorsi lì accanto a lui, in quel freddo ed angusto angolo, trovo la forza per sopravvivere fino al giorno successivo, e così di giorno in giorno.
Come tutti coloro che si trovano nella mia stessa condizione ho bisogno di quell’ossigeno che mi consente di sopravvivere; abbiamo necessità di consolare e nutrire il nostro cuore stando accanto, nel più brutale dei modi che l’avverso destino ha voluto, ai nostri cari.
L’ordinanza n.32 del 3 aprile scorso con la quale la Regione Siciliana ha istituito nel Comune di Rosolini la c.d. “zona rossa”, con l’adozione delle misure restrittive tra cui la chiusura del cimitero, ci ha ancora una volta immotivatamente privato di prenderci cura dei nostri cari.
Stare accanto ai nostri cari defunti rappresenta, per noi, un imprescindibile bisogno per la sopravvivenza e chiedo – al pari di chi ha la possibilità di recarsi al supermercato, o in farmacia, per
acquistare un bene di prima necessità o al tabacchi per acquistare le sigarette – che tale nostra necessità venga presa in considerazione e non trattata con superficialità o peggio con indifferenza da chi (fortunatamente per lui) è lontano da tali, reali, bisogni.
Come, giustamente, ci si può recare in chiesa per accostarsi al corpo di Cristo, e trovare conforto nella preghiera, è altrettanto doveroso poterci consentire di accostarci alle spoglie dei nostri cari e prenderci cura di loro.
Il cimitero, in termini di ampiezza degli spazi, non ha nulla di diverso rispetto ai parchi di cui resta consentita la piena fruibilità anche in “zona rossa”.
A ciò si aggiunga che il Comune di Rosolini è privo di linee di trasporto pubblico urbano e, pertanto, il cimitero viene raggiunto senza nemmeno il potenziale pericolo di assembramenti che potrebbero scaturire da tale aspetto. Allo stesso modo dal lunedì al venerdì il camposanto, a fronte dell’enormità degli spazi di cui è dotato, è pressoché vuoto potendosi così rispettare in assoluta e totale sicurezza il distanziamento per evitare il diffondersi della pandemia.
Mi affido al Vostro nobile animo affinché questo accorato grido di dolore non resti vano e possa trovare la giusta e meritevole attenzione di Voi tutti, ognuno per le rispettive competenze”.
Patrizia, mamma di Cristian.

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