“Il Covid ci invita a rinnovare tante cose”, l’intervista all’infettivologa rosolinese Dott.ssa Antonella Di Rosolini
Io mi sono laureata in Medicina nel 1982. A quell’epoca si parlava di una malattia strana, che la scienza non aveva ancora dominato: era l’AIDS!
Si è laureata in Medicina e Chirurgia nel 1982 e specializzata in Malattie Infettive nel 1986. Lei è la Dottoressa rosolinese Antonella Di Rosolini, infettivologa, che da 29 anni lavora presso la UOC di Malattie Infettive di Modica. E assieme a lei, nel reparto, anche un altro medico rosolinese la Dottoressa Emanuela Falco. Un reparto amatissimo in periodo di emergenza Covid, che ha ricevuto ringraziamenti e attestati di stima da parte di tanti pazienti e parenti dei pazienti.
La Dottoressa Di Rosolini nella sua carriera medica è stata Responsabile dell’Ambulatorio di Epatologia e di assistenza in pre e post trapianto del fegato, Responsabile della Antimicrobial stewardship per le Ortopedie della ASP- Ragusa, ha collaborato inoltre come infettivologa responsabile per le “Linee Guida” delle infezioni in Ortopedia e Rianimazione dell’ASP di Ragusa e con il Dipartimento di Veterinaria di Ragusa per la Lotta alla Antibioticoresistenza nell’uomo e nell’animale.
Oggi abbiamo scelto di intervistarla, perchè è in prima linea, anche lei “in trincea”, in tempo di emergenza. Un grande medico che nel suo reparto fonde professionalità e vicinanza psicologica ai pazienti, per aiutarli a gestire la paura assieme al meraviglioso team del reparto di Malattie Infettive (che presentiamo nella foto).
In emergenza coronavirus la Dottoressa Di Rosolini ha collaborato anche nel Nucleo Operativo COVID 19 dell’ASP Ragusa.
Una intervista che spazia, la nostra: dal rapporto con i pazienti, all’organizzazione sanitaria dell’ospedale di Modica fino ai tempi previsti per un tampone e per un vaccino.
L’obiettivo: fare chiarezza con un medico stimatissimo e a noi vicino. Buona lettura.
- Dottoressa, in questo periodo parliamo spesso- con tanto di testimonianze- di medici in trincea. Medici soggetti a turni massacranti, spesso in mancanza di protezioni individuali, con il rischio di portare il contagio all’interno delle proprie case. Ci conferma o ci sfata questo mito? Il Covid 19 come ha cambiato la “giornata tipo” di un medico infettivologo?
Sicuramente l’emergenza ha cambiato davvero tante cose. Nella nostra realtà medica, essendo stati identificati dalla Regione come Centro HUB, abbiamo dovuto lavorare sodo per riorganizzare le attività, a partire dalla scelta di blindare l’ospedale per impedire che la patologia arrivasse nei reparti perché sarebbe stata la fine! Anche perché l’ospedale, come abbiamo avuto modo di vedere dalla cronaca nazione, è stato il luogo da cui si è diffusa l’epidemia in Lombardia ad esempio.
L’epidemia si affronta in tempo di pace e dovevamo giocare d’anticipo, preparando i percorsi ‘Sporco-Pulito’. Ovviamente questo è costato a molti di noi un super lavoro sia prima che dopo l’arrivo dei primi pazienti affetti da infezione da COVID 19. La nostra Direzione Generale ha rimodulato anche l’organico per avere personale a sufficienza nel mio reparto. Abbiamo preparato protocolli di terapia aggiornandoci con l’esperienza cinese e lombarda e seguendo ciò che la letteratura scientifica ha gradualmente pubblicato. Abbiamo lavorato in continuo collegamento con i rianimatori.
Per quanto riguarda la disponibilità dei dispositivi anche noi abbiamo avuto qualche ma mai abbiamo rischiato di esporci al malato in mancanza di dispositivi. La Direzione Generale e la Direzione del presidio di Modica hanno lavorato per garantire la disponibilità continua dei presidi di cui dobbiamo però farne uso con parsimonia, niente sprechi.
I turni sono pesantissimi e la giornata di lavoro tipo è cambiata, perché stare bardati è una sofferenza e lo stile del lavoro è stato completamente modificato.
- È necessario, tra l’altro, ricordare che non esiste solo il Covid ma ci sono altre malattie infettive e altri pazienti che non possono essere abbandonati…
Proprio così. Il nostro reparto è un centro di riferimento anche per HIV, Epatologia, pazienti in lista pre e post trapianto di fegato, Malattie sessualmente trasmesse. Siamo stati individuati come centro per il trattamento dell’epatite C.
Seguiamo in DH e DS alcuni pazienti che hanno necessità di assistenza specialistica e siamo riusciti a garantire continuità assistenziale, nonostante la sospensione dell’attività ambulatoriale. Come? Personalmente ho effettuato delle visite in videochiamata, e ho seguito gli esami dei pazienti su WhatsApp. Essendo pazienti cronici, che seguo sempre io, non è stato impossibile. Alcuni di loro poi li abbiamo affidati ai colleghi di Malattie Infettive di Ragusa che stanno contribuendo facendosi carico di alcuni nostri pazienti e di tutta la restante patologia infettivologica.
- Voi specialisti, così come il resto degli operatori sanitari, siete diventati anche una sorta di Nirvana, non solo per rassicurare pazienti ma anche per rassicurare amici, parenti, colleghi di altre discipline, di fronte a uno dei sentimenti più difficili da gestire: la paura. Quanto è complicato conciliare il lato professionale con quello umano a livelli di alto stress?
Il medico cura e il paziente si affida! Sta tutta qui la dinamica psicologica e professionale!
Certo il fatto che io sia un’infettivologa ha fatto sentire più al sicuro i miei pazienti cronici.
La paura? Quella è una componente che è presente in molte patologie che seguo: è all’ordine del giorno per il mio campo. Pensate all’ AIDS, alla Tubercolosi! Ma siamo formati per affrontare questo, e di conseguenza anche per trasmettere sicurezza.
La paura si innesca comunque per numerosi fattori che vanno oltre il solo rapporto medico-paziente. Non possiamo non considerare la preoccupazione ad esempio per l’organizzazione sanitaria in Italia, parecchio maltrattata negli ultimi anni. L’epidemia del COVID ha però messo in luce, naturalmente, una cosa importante: l’amore per il lavoro dei sanitari e la professionalità hanno fatto la differenza in diverse realtà!
- Una donna rosolinese di 88 anni, Rosalia Cavarra-Misseri, contagiata da Covid 19, è deceduta dopo un lungo ricovero all’Ospedale Maggiore di Modica. Da parte della famiglia, nonostante il dolore della perdita e la rabbia (ma questo lo rimando alla domanda successiva), sono arrivati ringraziamenti sinceri per il modo in cui il suo reparto e quello di rianimazione hanno supportato la paziente. In che modo i reparti hanno tenuto in contatto la signora Cavarra con i familiari?
Ho ricevuto tante manifestazioni di affetto da parte dei pazienti. I parenti e amici sono stati bravi, così come tutti gli italiani! Hanno rispettato le regole e si sono sentiti protetti dal sapere che ci sarebbe stato chi avrebbe pensato a loro!
Abbiamo informato sempre telefonicamente i parenti dei pazienti. Non è stato proprio il caso della signora Rosalia che a causa del Venturimetro non poteva parlare, ma in alcuni casi, grazie al cellulare COVID attivo in reparto h24, abbiamo garantito anche delle videochiamate!
Abbiamo cercato di rassicurare i familiari circa la nostra vicinanza, anche empatica, verso i pazienti tutti. Abbiamo avuto pazienti di tutte le età, alcuni anche con problemi psichiatrici o ipovedenti e abbiamo cercato di sostituirci alle loro ansie e necessità fisiologiche. E oggi, non posso non riconoscere l’amore degli infermieri del mio reparto verso tutti i pazienti!
- La stessa famiglia Cavarra- Misseri, seppur la madre sia già deceduta, non ha ancora ricevuto gli esiti dei tamponi da parte dell’Asp Siracusa sulle persone entrate in contatto con la madre. Sono passati circa 20 giorni e l’unica risposta è stata: i tamponi sono “forse negativi”, ma nulla di ufficiale. Per dovere di cronaca, vogliamo chiederle se anche all’Asp Ragusa esistono tempi così lunghi.
Nella nostra ASP gli esiti dei tamponi effettuati ai pazienti in media riusciamo ad averli in giornata, soprattutto per quelli che attendono il ricovero. Cosa diversa per coloro che sono entrati in contatto con i positivi, per cui i tempi sono più lunghi vista la mole di lavoro.
Posso garantire però che non siamo nell’ordine di 20 giorni, anche perché è fondamentale sapere come stanno le cose dal punto di vista epidemiologico per poter iniziare eventuali trattamenti a domicilio.
Trattare precocemente evita il peggioramento del paziente e riduce la catena dei contagi.
- I rosolinesi sembrano apprezzare la sanità ragusana, tant’è che in molti casi hanno deciso di affidarsi al reparto Covid di Modica. Una fiducia che non è nuova, basta pensare che la maggior parte dei bambini rosolinesi nascono a Modica. C’è davvero così tanta differenza tra la sanità di Ragusa e quella di Siracusa o è solo una questione di “geografia”, visto che Rosolini è molto vicina a Modica?
Rosolini ha molti infermieri e medici che lavorano all’ospedale di Modica e Ragusa. Culturalmente c’è da sempre molta affinità tra rosolinesi e modicani!
Sull’ eventuale differenza tra la sanità delle due provincie è ovvio che non spetta a me esprimermi. Conosco professionisti seri che lavorano a Siracusa. Se vogliamo fare riferimento però al polverone che si è sollevato recentemente, mi sento solo di dire che l’organizzazione siracusana è partita sicuramente in ritardo, nonostante avessimo due fattori a nostro favore: l’esperienza lombarda e ben un mese di tempo per non farci cogliere di sorpresa.
- Il Covid Team, voluto dall’Assessore Razza, è stato nominato per supportare l’Asp Siracusa e pare abbia rivoluzionato interamente l’Ospedale Umberto I. C’è anche qualche ospedale del ragusano che ha ricevuto analisi da parte del Covid Team o non è stata necessaria né prevista alcuna analisi?
Fortunatamente la nostra organizzazione è stata adeguata nonostante alcune difficoltà oggettive. Determinante è stato il lavoro del Direttore Sanitario del presidio di Modica, il Dottor Bonomo, quello dei capisala delle Malattie Infettive, della Rianimazione e del Nucleo Operativo COVID, il Nucleo individuato dalla Direzione Generale di cui io stessa ho fatto parte.
- Dottoressa, quali sono le sue previsioni prettamente sanitarie? Quanto a lungo dovremo ancora combattere con il virus e come cambierà la nostra vita? E soprattutto, quali i tempi previsti per un vaccino, considerato al momento come unico salvatore?
L’andamento dell’epidemia in Sicilia è sotto gli occhi di tutti. Non è stato uno tsunami come in Lombardia, perché non dimentichiamo che in Sicilia è arrivata l’epidemia quando eravamo già zona rossa tutta l’Italia.
Il lockdown ha contribuito a rallentare l’ondata e l’andamento epidemiologico futuro credo sarà a lenta riduzione. Questa la mia previsione, ma è chiaro che dipende da noi: dobbiamo stare molto attenti e non abbassare la guardia. Dobbiamo comunque ripartire nel rispetto delle misure preventive!
L’epidemia, bisogna dire, non è arrivata casualmente: abbiamo perso il senso del confine, abbiamo urbanizzato quanto non era destinato ad essere urbanizzato, abbiamo creato una convivenza con animali con cui non abbiamo convissuto per migliaia di anni innescando così i salti di specie. Anche l’AIDS è arrivata così. Poi l’inquinamento atmosferico ha giocato un suo ruolo fondamentale. Ecco che il COVID ci invita a frenare e rinnovare tante cose, soprattutto in ambito ecologico e pure sanitario.
Sul vaccino invece ci sono alcune cose da chiarire. Innanzitutto si sta assistendo a un business pubblicitario, in cui alcuni stanno cavalcando l’onda di “tempi velocissimi per un vaccino” solo per poter dominare l’ansia della massa. Ma come tutte le sperimentazioni il vaccino ha dei tempi previsti di non meno di 18 mesi in cui è necessario, dopo averlo creato, poterlo testare, su animali prima e volontari dopo.
Non si può avere fretta sui vaccini, perché un vaccino nato in 8 mesi è un vaccino potenzialmente pericoloso nei suoi effetti collaterali, un vaccino vagliato senza criteri adeguati e pure impossibile da mettere in commercio. Bisognerà attendere circa un anno e mezzo per garantire una certa sicurezza alla comunità e non si può delegare nemmeno come risorsa definitiva, perché nel frattempo che facciamo? Nel frattempo dobbiamo convivere con questo virus così come in fondo stiamo convivendo anche con la SARS o con l’H1N1 ad esempio. Lo stiamo già facendo e basta usare le dovute precauzioni. È chiaro che il focolaio non è ancora spento quindi bisogna assolutamente rispettare il distanziamento sociale e l’uso dei dispositivi.
- Quali invece le emozioni di un medico infettivologo, oggi, nel misurarsi con qualcosa che la scienza non ha ancora dominato?
La Medicina e le scienze sono proiettate sempre verso la Conoscenza. Io mi sono laureata in Medicina nel 1982. A quell’epoca si parlava di una malattia strana, che la scienza non aveva ancora dominato: era l’AIDS!
Sono cresciuta professionalmente in un periodo di sfida verso le malattie virali. L’AIDS ad esempio ha modificato completamente l’approccio allo studio infettivologico!
Sono orgogliosa di aver lavorato in un periodo in cui la Sanità infettivologica ha fatto passi da gigante e ogni nuova malattia è sempre un motivo per continuare a farne.
Però, non nascondo lo sconforto verso la superficialità con cui è stata maltrattata la sanità e come i medici negli anni siano stati anche vittime di aggressioni medico-legali talvolta assolutamente ingiuste.
Enrica Odierna