Care givers: come definirli? Come possono essere efficaci?
L’espressione care giver deriva dall’inglese, letteralmente “dare cura”. Giver è il verbo dare in inglese. Il sostantivo inglese care indica qualsiasi cura, attenzione altra azione di assistenza rivolta a persona o cosa per assicurarne la salute. Nel dizionario Garzanti, si indica con care giver, più ampiamente, chi, a livello familiare o professionale, presta assistenza a un malato, specialmente terminale. L’espressione care giver comprende, quindi, sia familiari sia figure esterne alla famiglia come, ad esempio, gli operatori socio sanitari (OSS) o le/i badanti. Cura, dal latino cura derivato dalla radice ku-/kav- indica osservare, dunque implica l’osservazione dell’altro prima dell’azione verso l’altro. Allora, dato il riferimento etimologico, come possiamo definire la figura del care giver?
Si tratta di un ruolo che si ricopre nell’interazione con l’altro. Con ruolo si descrive quel processo che permette di assumere una posizione, una precisa collocazione rispetto ad un interlocutore, in virtù degli obiettivi che si dà. Tale collocazione genera una realtà interattiva, ossia fa sì che le persone interagiscano in relazione allo specifico ruolo rivestito rispetto agli interlocutori. La “definizione del ruolo” implica l’individuazione precisa delle competenze necessarie al perseguimento di un obiettivo prefissato. Esse si distinguono in competenze del saper fare e competenze del saper essere. Le competenze del saper fare costituiscono modalità tecnico-operative del ruolo, ad esempio, nel caso del care giver possono essere l’occuparsi dell’igiene personale, disbrigo di pratiche, l’accompagnare l’altro da una parte all’altra. Le competenze di “saper fare” risultano un elemento necessario per rivestire un ruolo, sebbene non sufficiente. Il ricoprire un ruolo significa anche gestire il rapporto con altri interlocutori, processo che risulta la conditio sine qua non per la realizzazione degli obiettivi prefissati. Questo secondo aspetto del ruolo richiede un’attenta gestione delle proprie modalità “relazionali” affinché i processi interattivi innescati risultino efficaci per il perseguimento degli obiettivi del ruolo. La gestione di questi aspetti afferisce a quanto può essere definito come competenza di “saper essere”. Un ruolo risulta competente, sia in termini di saper fare che di saper essere, dal momento in cui anticipa scenari che attualmente non ci sono, in virtù della quale la persona può gestire quanto non si è ancora verificato. L’anticipazione è differente dalla previsione. Prevedere vuol dire conoscere la relazione empirica che esiste tra eventi (ad esempio causale) e che consente di controllare gli eventi stessi. Quest’ultimo concetto attiene al piano degli eventi fisici e naturali. L’anticipazione di scenari costituisce ciò che consente al ruolo di individuare strategie di gestione di situazioni critiche pertinenti rispetto agli obiettivi.
Nel posizionarsi davanti all’altro si può utilizzare “l’identità di ruolo”, ovvero l’insieme delle competenze di saper fare e di saper essere che caratterizzano un qualsiasi ruolo, o l’”identità personale”, cioè l’insieme delle capacità e delle abilità “aspecifiche” che si acquisiscono, grazie alle proprie esperienze personali, al modo di intendere e attribuire significati al mondo, alle “teorie personali”. Ad esempio, una teoria personle di un care giver può essere “per me, mia mamma deve evitare più moviMenti possibili altrimenti rischia che le si spaccano i capillari. A me, quando faccio troppi movimenti, si spaccano i capillari”. L’identità di ruolo si costruisce sulla base di conoscenze in materia e in riferimento all’obiettivo del ruolo. L’obiettivo del care giver si muove verso la promozione di salute dell’altro. Sussume e va oltre un obiettivo prettamente sanitario ovvero curare il corpo dell’altro, ma implica un curarsi dell’altro, ovvero osservare ed essere responsabile del come l’altro vive, interagisce con il mondo che lo circonda. Da qui, il valore fondamentale dell’anticipazione che implica chiedersi “se faccio così, se dico così, se si verifica questo,… come l’altro la può vedere, cosa accade alla nostra interazione, quali criticità, come posso gestire quest’ultime?”. Questo comporta l’essere maggiormente efficaci nel perseguire l’obiettivo di promozione della salute altrui, gestendo le criticità che si possono presentare. Definire il care giver come ruolo, implica, quindi, la possibilità di ricoprire altri ruoli con rispettivi obiettivi (madre, padre, amica/o, moglie/marito, professionista) senza “logorarli” e di blindare e gestire le criticità che il prendersi cura dell’altro possono trasferirsi su l’identità personale, come ad esempio “non riesco a riposare più, non mi sento capace, sono stanco di vedere tutti i giorni la stessa situazione, mi sento triste, sono arrabbiato/a, no sono pronto ad affrontare questa malattia, mi fa paura pensare a quello che può accadere se si aggrava”. Tali criticità si possono presentare in particolar modo nei care givers familiari che si trovano a gestire un cambiamento nel modo di configurare il rapporto con l’altro di cui iniziano a prendersi cura, la loro quotidianità, il loro modo di interagire.
Il confronto con un esperto, psicologo, può essere prezioso per i care givers per conoscere e gestire efficacemente il prendersi cura dell’altro e per gestire il cambiamento che si sta verificando nella propria vita.
Dott.ssa Rosita Solarino, Psicologa e Mediatrice
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